Via Baltica, dalla Finlandia in Svizzera in bicicletta
Quando qualcuno mi chiede il perché di questa «stronzata», rispondo che non ho mai amato pedalare sotto la pioggia. Così una mattina di fine gennaio 2012, dopo una colazione con gli amici, ho indossato guanti e cappello e sono partito verso sud-ovest. Gli obbiettivi erano semplici: non fare la fine di Otzi lungo la Via Baltica e godermi il percorso della classica del «sud» Liegi-Bastogne sotto la neve; in mezzo sarebbe stata una pedalata spensierata sulla mia bicicletta comprata in Finlandia per 30€.
Ogni giorno mi mettevo in sella poco prima che il sole sorgesse, per essere parte delle lunghe albe nordiche e pedalavo per ore assaporando il mondo congelato che scivolava dentro di me. Avevo i miei fantasmi da calmare, tanti chilometri da percorre e un’avventura da vivere su due ruote chiodate con lo stato d’animo da Il sergente nella neve.
Nei 3000 km che dividono Tampere da Ginevra ho incontrato personaggi epici. Ho fatto una sauna nella casa, senza cucina né porte, del commercialista punk di Parnu. Nella foresta nei dintorni di Rapla ho stretto la mano del campione estone di traino di bus a piedi nudi. Ho fatto un trasloco attraverso i sottotetti di Riga con un restauratore siberiano a cui ho regalato il mio fulcin.
Mi sono svegliato al rumore del carrello di una pistola a cui veniva messo un colpo il canna e quando ho aperto gli occhi mi sono trovato di fronte una testa di cuoio. Ho abbracciato entusiasta una benzinaia di 100 chili incredula, dopo aver pedalato per 50 chilometri a –30 °C senza aver mai incontrato anima viva.
Sono stato accolto da un cowboy ormai paralizzato che portava le vacche dai verdi pascoli lituani alle aride pianure dell’Asia centrale durante il periodo sovietico. Mi sono addormentato tranquillo nei corridoi di una nave cargo tra camionisti russi ubriachi che temevano fossi un guerrigliero ceceno. Ho sbranato una colazione da 4000€ in un hotel di lusso ad Amburgo offertami da un couchsurfer della vecchia guardia.
A Kiel mi sono svegliato in un asilo con i bambini che mi preparavano con le loro mani i panini per il viaggio. Ho sentito la mia anima spingere con me sui pedali durante una cronometro di 50 chilometri in autostrada con la musica al massimo volume nelle orecchie per non sentire la morte arrivare da dietro.
Ho pedalato attraverso i boschi del Lussemburgo e le miniere del Belgio in compagnia di una ragazza in fuga da se stessa. Mi sono riposato e ho scongelato i miei piedi dalle unghie un po’ troppo nere al caldo in un bel treno svizzero e poi, finalmente, in compagnia di una nonna ginevrina doc che portava alla Jonction i suoi nipotini dai lineamenti orientali per la prima volta in città, ho brindato all’amicizia tra l’Arve e il Rodano. Quando attraversi l’Europa in bicicletta ti rendi conto di come il vecchio continente sia più piccolo nella realtà che sulle mappe, un po’ come il quadro della Gioconda.
Vista dall’altezza di un sellino, si capisce che l’Europa non è la proiezione statistica dello spread, non è la Merkel, non sono i trattati bilaterali, non è l’euro, non è il mercato, o la Frontex; l’Europa è una comunità fatta di persone semplici, reali ed umane.